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L’usura sopravvenuta

L’usura è la pratica consistente nel fornire prestiti a tassi di interesse considerati illegali, così da renderne la restituzione piuttosto difficile o quasi impossibile per il debitore.

Originariamente l’Italia non prevedeva limiti legali per i tassi di interesse, infatti solo con l’entrata in vigore della l. n. 108/1996 è stato introdotto per la prima volta un limite ai tassi di interesse applicati sulle operazioni di finanziamento, il c.d. tasso soglia.

A partire dal 2011, il tasso soglia viene determinato trimestralmente dalla Banca d’Italia per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale, nonché sul sito della Banca d’Italia e del Ministero.

L’usura è una pratica disciplinata e vietata sia dalla normativa penalistica che civilistica.

L’art. 644 c.p. statuisce che chiunque si faccia “dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000”.

Il secondo comma dell’art. 1815 c.c. prevede invece che “Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

Di conseguenza, qualora un contratto dovesse prevedere la corresponsione da parte del debitore di interessi usurari, la relativa clausola sarà nulla e il creditore potrà essere chiamato a rispondere penalmente di tale previsione laddove ricorrano gli elementi oggettivi e soggettivi del reato.

Nel tentativo di delineare con esattezza l’ambito di applicazione della l. n. 108/1996, il legislatore intervenne con una norma di interpretazione autentica, il d.lgs. n. 394/2000, che all’art. 1 co. 1 recita: “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 c.p., e dell’articolo 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Nonostante la chiarezza testuale del d.lgs. n. 394/2000, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato teorie diverse sul tipo di conseguenze individuabili in caso di superamento del tasso soglia.

In particolare, ci si domanda cosa succeda se, a seguito di fluttuazioni degli interessi, il tasso riportato nel contratto, originariamente valido, dovesse superare il tasso soglia solo in un momento successivo. Sempre in tema di normativa antiusura, ci si chiede altresì se questa possa trovare applicazione anche a quegli accordi stipulati prima del 1996, cioè quando non era ancora prevista la fissazione di un tasso soglia, ossia di un limite oggettivo al tasso d’interesse contrattuale.

In altri termini, è possibile parlare di usura sopravvenuta?

Due sono gli orientamenti principali che si sono sviluppati in dottrina e in giurisprudenza nel corso degli anni:

  1. Ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario si deve guardare al momento della pattuizione dello stesso e non al momento al momento del pagamento degli interessi. Per tale ragione deve escludersi la configurabilità della c.d. usura sopravvenuta sia per quelle pattuizioni di interessi stipulati in data antecedente l’entrata in vigore della l. n. 108/1996, che per quelli che sono stati stipulati in epoca successiva ma che quando previsti risultavano inferiori al tasso soglia.
  2. In altre decisioni si è invece riconosciuta l’incidenza della nuova normativa sui contratti in corso alla data della sua entrata in vigore, omettendo tuttavia di tenere in considerazione la legge di interpretazione autentica del 2000. In questi casi, la tendenza era quella di sostituire il tasso di interesse applicato nel contratto con il tasso soglia rilevato dalla Banca d’Italia.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 24675/2017, hanno preferito dare continuità al primo dei due orientamenti che esclude la configurabilità dell’usura sopravvenuta, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p. e art. 1815 c.c. come stabilita dalla l. n. 394/2000.

Valorizzare il momento di definizione della pattuizione degli interessi e non il momento della riscossione, significa dare rilievo al momento della volontà dell’agente e dunque della sua responsabilità. Simile lettura appare maggiormente in linea con l’intento perseguito dal legislatore: contrastare efficacemente il fenomeno dell’usura.

In definitiva, deve dunque escludersi la configurabilità della c.d. usura sopravvenuta ogniqualvolta il tasso convenzionale (il tasso di interessi riportato sul contratto) risulti inferiori al tasso soglia al momento della pattuizione ma superiore al momento del pagamento. Con la conseguenza che la corrispondente clausola contrattuale risulti essere valida ed efficacie e la pretesa del pagamento avanzata dal creditore del tutto lecita.

Un ultimo accenno deve poi essere fatto anche alla tesi della presunta violazione della buona fede oggettiva.

Una parte della giurisprudenza e della dottrina avevano affermato che la pretesa avanzata dal creditore di ottenere il pagamento di interessi superiori al tasso soglia si sostanziasse in una pratica contraria al principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto (a375 c.c.).

In questo senso la Corte di Cassazione afferma che la violazione del criterio di buona fede oggettiva assume rilevanza a seconda delle particolari modalità di esercizio di un diritto scaturente da un contratto. In altri termini, non è possibile invocare la violazione della buona fede ex art. 1375 c.c. quando una parte si limita ad esercitare i diritti e le facoltà scaturenti da un accordo sottoscritto con l’altra; al contrario, suddetta violazione potrà essere invocata quando le modalità concrete di esercizio di quel diritto e di quelle facoltà risultino scorrette in relazione alle circostanze del caso concreto.

Per questa ragione, la Corte non esclude a monte la possibilità che la riscossione di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta perché contraria al principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto, ma esclude che sia da qualificare come scorretta la pretesa di quegli interessi di per sé, dovendo invece avere riguardo alle particolari modalità operate dal creditore o alle altre circostanze rilevanti.

Roma, 19.03.2019

Avv. Domenico Vizzone

Tel: 06.50931195