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La condotta gravemente colposa o dolosa dell’assicurato può escludere il diritto all’indennizzo ex art. 1900 c.c.?

La Corte di Appello di Roma con la recentissima sentenza n. 159/2020  ha così statuito : “… in base  all’art. 1900 c.c. l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o colpa grave del contraente, dell’assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave, e ciò al fine di evitare che la garanzia assicurativa crei l’interesse dell’assicurato a provocare il sinistro”.

Con la pronuncia veniva confermata la sentenza di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda dell’assicurato, il quale asseriva di essere rimasto vittima di un furto esercitando, conseguentemente, il proprio diritto all’indennizzo.

Il Tribunale Civile di Roma aderendo alle  argomentazioni, così motivava la decisone assunta con sentenza n. 182/17:  “La stessa parte attrice ha dichiarato, poi, di avere interrotto il trasferimento di proprietà del mezzo in attesa di controlli bancari, poiché nutriva seri dubbi sulla validità dell’assegno fornitogli dal presunto acquirente, ma ciò nonostante decideva di affidargli la propria autovettura per un giro di prova, al termine del quale il conducente scappava appropriandosi del mezzo e facendo perdere le proprie tracce. Orbene detta circostanza, appare ad avviso di chi scrive, di per sé idonea a configurare l’esclusione della indennizzabilità ai sensi dell’art. 1900 c.c., secondo cui “l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o colpa grave del contraente dell’assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave…”, non potendo non configurarsi una colpa grave nella condotta posta in essere dall’attore, il quale, pur nutrendo forti dubbi sulla correttezza e serietà del venditore, nonché sulla validità dei pagamenti, abbia coscientemente deciso di consegnargli l’autovettura per un giro di prova, accettando ogni conseguente rischio. Ed ancora, serie perplessità derivano, altresì, dal lungo lasso di tempo trascorso tra il verificarsi dell’asserito furto (circa le 8,00) e la denuncia sporta al commissariato (alle ore 13,40)”.

Avverso tale pronuncia, la Società assicurata proponeva gravame al fine di ottenere la riforma della sentenza n. 182/17 per, l’effetto, la condanna della propria Compagnia di Assicurazione al pagamento delle somme derivanti dal sinistro denunciato, attraverso la corresponsione dell’indennizzo.

La Corte territoriale, nell’uniformarsi alle argomentazioni della difesa della Assicurazione ha così statuito: “Ai fini della decisione è opportuno rammentare che in base all’art. 1900 c.c. l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o colpa grave del contraente, dell’assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave, e ciò al fine di evitare che la garanzia assicurativa crei l’interesse dell’assicurato a provocare il sinistro”.

Di regola incombe sull’assicuratore l’onere di provare il dolo o la colpa grave dell’assicurato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1900 e 2697 c.c., posto che “l’avere l’assicurato cagionato il sinistro costituisce fatto estintivo del suo diritto al pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore, e va quindi provato da quest’ultimo” (Cass. 12 luglio 2005, n. 14597).

E proprio con riferimento alla gravità della colpa la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la condotta dell’assicurato è gravemente colposa qualora sia stata decisiva ai fini del verificarsi del rischio garantito, situazione, questa, configurabile  “anche quando la condotta dell’assicurato caratterizzata dal dolo o dalla colpa grave non sia stata la causa unica del verificarsi dell’evento dannoso, in quanto ai fini del nesso causale fra la detta condotta ed il danno trova applicazione il principio della “conditio sine qua non”, temperato da quello della regolarità causale, secondo il disposto degli artt. 40 e 41 c.p. Ne consegue che, quando l’evento è derivato da una pluralità di comportamenti commissivi od omissivi, tra cui un comportamento colposo dell’assicurato, è sufficiente per negare l’estensione della polizza accertare che, se detto comportamento non si fosse verificato, l’evento non si sarebbe prodotto” (Cass. 14 aprile 2005, n. 7763).

I Giudici di secondo grado hanno ritenuto, a sostegno del rigetto dell’appello che, in presenza di una siffatta fattispecie, grava sull’assicurato l’onere di provare la mancanza del dolo o della colpa grave; incombe sul soggetto che invoca la garanzia, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2697 c.c., l’onere di dimostrare che si è verificato un evento coperto dalla garanzia assicurativa e che esso abbia causato il danno di cui si reclama il ristoro nonché di descrivere e di provare in modo estremamente puntuale il fatto lesivo in modo da consentire la verifica della sussistenza o meno della colpa grave, in presenza della quale viene meno il diritto all’indennizzo.

L’assicurato, dunque, non deve limitarsi a provare il furto ma anche e, soprattutto, l’assenza di colpa grave, posto che l’onere probatorio gravante in capo a chi intende far valere in giudizio un diritto non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto fatti negativi, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude, né inverte il relativo onere probatorio, che continua a gravare sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo.  La relativa prova, peraltro, può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o anche mediante presunzioni, non essendo possibile la dimostrazione di un fatto non avvenuto (Cass. 1 febbraio 2018, n. 2527).

Inoltre, le profonde contraddizioni tra le dichiarazioni rese in sede di prova testimoniale hanno portato la Corte ha ritenere la documentazione agli atti e l’istruttoria espletata, non idonee a dimostrare la fondatezza della tesi dell’assicurato in relazione alla asserita dinamica del fatto.

In un contesto del genere è risultato impossibile, infatti, per il Collegio pervenire a una qualificazione giuridica del reato commesso come rapina impropria, furto o truffa e appropriazione indebita e stabilire se i fatti, così come descritti, rientrino o meno nel rischio assicurato.

L’insufficienza della prova si riverbera in danno dell’attrice-appellante, sulla quale gravava l’onere di dimostrare, nel giudizio di primo grado, i fatti costitutivi della propria pretesa e, nel giudizio di appello, la fondatezza dei motivi di gravame. La carenza probatoria giustifica il rigetto dell’appello e la, conseguente, conferma della sentenza del Tribunale.

Inoltre, la Corte ha ravvisato la colpa grave dell’assicurato, aderendo a quanto sostenuto dal Giudice di prime cure, così motivando: “Si rileva, altresì, che le modalità dei fatti narrate dal teste e quelle esposte negli atti di parte attrice-appellante inducono in ogni caso a ritenere che l’evento è dipeso da un comportamento gravemente imprudente …”. Pertanto, nell’uniformarsi alle condizioni richieste dalla giurisprudenza di legittimità per la configurabilità della colpa grave dell’assicurato, la sentenza del Tribunale è da ritenersi pienamente condivisibile nella parte in cui l’indennizzabilità del sinistro è stata esclusa in forza dell’art. 1900 c.c.

Proprio riguardo alle considerazioni svolte dal Giudice ed alle argomentazioni utilizzate a sostegno del rigetto dell’appello, deve rilevarsi che la pronuncia in commento è una sentenza significativa, sul piano del diritto, costituendo un valido e considerevole  precedente, per i principi affermati in materia di indennizzo e di cause di esclusione dello stesso avuto riguardo ad una condotta gravemente colposa o, addirittura, dolosa dell’assicurato.

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