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Convivenza di fatto

La l. n. 76/2016, c.d. Legge Cirinnà, oltre ad aver istituito le unioni civili per le coppie dello stesso sesso (http://www.vizzone.it/2019/04/24/unione-civile/), ha anche provveduto a regolamentare le convivenze di fatto, per cui oggi le coppie di fatto hanno ottenuto la possibilità di ufficializzare la loro unione.

Cosa si intende per convivenza di fatto?

Oggi la legge riconosce dunque specifici diritti ai conviventi di fatto, ossia a quelle coppie formate da due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, che non hanno formalizzato la loro relazione con il matrimonio o con un’unione civile.

In altri termini, a seguito dell’entrata in vigore della Legge Cirinnà, è stata riconosciuta la possibilità a due soggetti legati sentimentalmente di formalizzare il proprio legame tramite la presentazione di un’autocertificazione all’anagrafe del Comune di residenza, nella quale i conviventi dichiarano di convivere allo stesso indirizzo anagrafico.

Una volta eseguiti gli accertamenti necessari, il Comune rilascerà il certificato di residenza e dello stato di famiglia attestante la loro ufficiale convivenza.

Quali sono i diritti spettanti ai conviventi di fatto?

Il riconoscimento di una convivenza di fatto comporta il sorgere di una serie di diritti in capo alle parti interessate.

A titolo esemplificativo:

I conviventi godono dei medesimi diritti che spettano al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario, con possibilità di visitare il partner in carcere.

In caso di malattia o ricovero, i conviventi avranno diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali dell’altro.

In caso di malattia o morte, ciascun componente della coppia può designare l’altro come legittimo rappresentante, con poteri pieni o limitati, per quanto riguarda le decisioni in materia di salute (nel primo caso), o di donazioni di organi (nel secondo caso).

Alla luce di quanto appena esaminato, è possibile affermare che lo status di convivente di fatto comporta il riconoscimento di specifici diritti e doveri di natura strettamente personale, con l’unica eccezione di quanto stabilito dal comma 65, art. 1, della Legge Cirinnà, a mente del quale in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può riconoscere il diritto del convivente di ricevere dall’altro gli alimenti, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.

È proprio qui che si inserisce uno degli aspetti più interessanti della riforma del 2016: il comma 50, dell’art. 1, statuisce che “I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”.

Cosa sono i contratti di convivenza?

I contratti di convivenza devono necessariamente essere redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da notaio o da un avvocato che ne attestino la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico (art. 1, co.51, l. n. 76/2016).

Attraverso suddetto accordo, le parti possono concordare: il luogo di residenza, le modalità di contribuzione di ciascuno alla vita comune e il regime patrimoniale della comunione dei beni, il quale potrà essere revocato dai contraenti in qualunque momento.

Le cause di risoluzione del contratto di convivenza sono: accordo delle parti (che deve avvenire sempre in forma scritta), recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un terzo, oppure per morte di uno dei contraenti.

A seguito dell’entrata in vigore della Legge Cirinnà, parte della dottrina e della giurisprudenza si sono domandate se i conviventi potessero inserire all’interno del contratto di convivenza anche la futura regolamentazione dei loro rapporti patrimoniali in caso di cessazione della loro relazione.

A fondamento della tesi negativa, vi era la considerazione per cui una simile previsione si ponesse in senso contrario a quanto disposto dal comma 56, art. 1, l. n. 76/2016 che esclude la possibilità di introdurre termini o condizioni all’interno di detto accordo.

A sostegno della tesi positiva, sostenuta dalla dottrina maggioritaria più recente, si sosteneva al contrario che l’inserimento all’interno del contratto di convivenza di una clausola avente ad oggetto la regolamentazione dei rapporti patrimoniali dei conviventi in caso di scioglimento del loro legame non sarebbe contraria al comma 56, dal momento che così operando le parti non intendono apporre una condizione o un termine al loro accordo, ma solo disciplinare quella che è una possibile evoluzione del loro rapporto.

In conclusione, è possibile così affermare che il contratto di convivenza rappresenta oggi una grande possibilità per i conviventi di fatto di regolare tutti gli aspetti della loro vita insieme, dunque non solo quelli di natura strettamente personale ma anche quelli relativi ai loro rapporti patrimoniali, evitando così l’insorgere di future controversie.

Roma, 26.04.2019

Avv. Domenico Vizzone

Tel: 06.50931195